Una metafora per Viterbo


Volevo usare una metafora per dipingere la mia città . Per farlo, prendo in prestito una foto che ho scattato all’interno della Galleria Morucci (che adoro e con il quale mi scuso per la mia successiva interpretazione), all’ingresso del quartiere storico di San Pellegrino. Per come la percepisco io, c’è un vecchio su una sedia che sembra sonnecchiare o che potrebbe, addirittura, star male o esser morto su quella stessa sedia. Di fronte, su un primo livello un cane che abbaia come a cercare di risvegliarlo o a cercare d’attirare attenzione per modificare uno status di quiete. Vicino, un albero secco, una finestra fatta a brandelli, che rappresentano la condizione d’nverno della ragione e altre figure di lato. Queste ultime, nella mia interpretazione sono dei giovani, dei ragazzi, o la macedonia inerte, stantia e mugugnante solo per far vedere che si sa mugugnare, dei cittadini.

Il vecchio, l’albero e la finestra, mi ricordano la città .
Il cane, le pochissime persone che vorrebbero svegliarla.
Il pacco umano a destra, invece, mi ricorda la maggioranza, gli altri, quelli che vedono, che osservano, che non dicono, qualli a cui tutto sta bene e male o ai quali quel tutto non interessa proprio. E dopo averla vissuta per un paio di settimane, dopo averla considerata ancora, purtroppo per il mio fegato, si, ancora, l’unico posto caldo dove tornare, dopo averla lasciata di nuovo, ho una sola speranza.

Mi auguro solo si possa trasformare, modificare, attivare quella macedonia umana, quell’insulsa colla di ignavi, in un fronte consapevole di… cani!
Perchè il cane, in questa foto, è l’unica singolarità attiva. L’unica.
Il resto è causa ed effetto, il resto è come è sempre stato.

Perdonatemi, soprattutto quelli che potrebbero prendersela per il paragone o per gli aggettivi.
Ma Viterbo, per com’è ridotta oggi, non si può più davvero guardare.

la città dentro una metafora