Mi infastidisce..


Stamani, presto come al solito, ho scoperto che la mia città mi infastidisce.
Un po’ come quando ero piccolo e alle elementari, col grembiule nero e il fiocco bianco, sedevo sul banco di legno e Matteo, quel morammazzato del mio vicino di banco, teppista nei geni da più di 6 generazioni, mi dava i pizzichi sul gomito e sul braccio. E io là, inerme, che sopportavo perchè era più grosso, più cattivo di me e se chiamavo la maestra passavo pure pè piagnone.

Si. Viterbo mi da fastidio, mi ritorna in mente, non mi fa dormire, mi entra nei ricordi, mi dileggia, mi infastidisce. La città che mi ha visto nascere, che mi ha raccontato le sue storie, quella che mi portava nei vicoli con un pallone di plastica, coi gatti sugli scalini e le rondini sopra, quella di mio nonno nella falegnameria, dei trucioli di legno che servivano ad accendere il fuoco, delle antenne sui tetti, degli acini d’uva della pergola sul balcone, mi fa disperare.

C’è qualcosa che non mi lascia mai.
Un misto di disperazione e di consapevolezza, qualcosa che si piazza là e che mi scava intorno, che mi riporta a vista le radici, che mi schiaffeggia perchè non posso fare, che mi da del vigliacco perchè non ci sono, che mi graffia l’anima perchè tutto torna com’è e perchè sembra non si possa cambiare.

Il motivo è semplice. La mia città è in un’emergenza senza pari, mai vissuta prima: economica, di valori, amministrativa, funzionale. E di fronte alle immagini di una conferenza stampa, delle facce viste, dei retroscena degli ultimi due mesi, degli stracci che son volati e del sistema che si è messo in moto solo per assegnare un candidato, ebbene mi è tornato in mente tutto.

Guardando quei sorrisi.
Non ce l’ho con le persone. No.
Ce l’ho con il sistema.

Un sistema che antepone l’interesse di se stesso a quello di tutti, che serve a mantenere o a consolidare un interesse, un sistema che grazie a quello che è successo e che ha portato alla scelta di questo candidato, per le loro lotte e i loro accordi ci riporterà esattamente a dove siamo rimasti. Al nulla, ad un altro sindaco dal “cuore impavido”, ad un Michelini due.
Dove tutto è fatto per loro. Nulla per noi.
Perchè sulla base degli accordi che hanno preso fra un anno saremo di nuovo ai ribelli che vanno dal notaio e poi non ci vanno, ai fioroniani, ai panunziani, magari conieremo altri nomi per altre correnti. I baiocchisti, i rotelliani, i fuscosi.
Sembrano nomi di alieni. Tutto fuorchè leader.
Gente che cavalca consenso e le notizie termometro.

A Viterbo deve esser posta una domanda diversa: ma a voi, cosà com’è, Viterbo vi piace?
Bene, se fosse un si, allora tenetevela pure e quando non ci sarà più nessuno magari provate a richiedervelo ancora.

Se no,il punto è questo: volete perpetrare ancora quello che è sempre stato?
O volete cercare un sistema nuovo, un sistema che segue standard e motodologie totalmente diverse, un sistema che è conforme ai riferimenti mondiali di project e change management, che è in mezzo alla gente, che ha un piano concordato, mani libere e idee cantierabili da subito?
Volete ancora il pattume delle telefonate di controllo del padrone o l’energia di chi ha studiato ogni dettaglio?
Volete il maturo signore che rappresenta la burocrazia e il potere o la gioventù di chi già conosce il sistema e va dieci volte più veloce?

Questo non mi fa dormire.
Quei sorrisi di circostanza.
Ed ecco perchè ogni tanto mi guardo le mie foto.
Quelle che scatto solo per me, per il mio piacere, che viro appositamente per amplificarne la storia, le rughe.

Vorrei provaste quello che provo io ogni giorno.
Ogni giorno aggiungo piccoli pezzi alla mappa del mondo che ho visto, dal fondo di ghiaccio della terra Vittoria all’Asia interna delle pianure di sabbia, dalle coste della Nuova Zelanda ai contrafforti dell’Hindu Kush,
da un capo all’altro, città enormi, fiumi, case e colonne, giardini, glicine e magnolie, pozzanghere e buche, cascate e orche.

E niente.
Fra tutto questo, in questa mappa meravigliosa che affiora dai miei ricordi c’è qualcosa che non mi abbandona mai. Vince sempre qualche scorcio di quell’oceano di tufo che ho vissuto da dentro, qualche vicolo di casa, quelli che poi non mi lasciano dormire, quelli che mi infastidiscono, come quei pizzichi di Matteo col “sinale”…